Nella ricostruzione sistematica del conflitto di interessi tra genitori e figli vi sono strumenti di tutela rivolti alla soluzione di conflitti sia specifici come ad esempio l’intervento volontario del figlio maggiorenne nei procedimenti di separazione e divorzio, ma anche semplicemente legati all’esercizio delle funzioni genitoriali.
Si pensi per esempio al tema dell’assegnazione della casa familiare in occasione della separazione e del divorzio in cui si prevede che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli” (art. 337-sexies c.c.) e che costituisce uno dei motivi di conflitto più ricorrenti tra genitori e figli (soprattutto maggiorenni) per il peso che sull’assegnazione ha la decisione del figlio di voler rimanere ad abitare con l’uno o l’altro genitore.
Si consideri, poi, specificamente l’art. 337-septies c.c. relativo alle disposizioni “in favore dei figli maggiorenni”. Per la prima volta nell’ordinamento una norma si occupa specificamente dei figli maggiorenni in particolare prevedendo che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico” che, “salvo diversa determinazione è versato direttamente all’avente diritto” cioè – secondo l’interpretazione ormai pacifica – al figlio maggiorenne direttamente o al genitore con il quale il figlio abita, essendo la loro legittimazione considerata concorrente (tra le tante Cass. civ. Sez. I, 21 giugno 2002, n. 9067 ).
L’ordinamento giuridico stabilisce in altri termini che i genitori hanno l’obbligo di mantenere i figli, anche se maggiorenni, finché non autosufficienti economicamente poiché l’obbligazione di mantenimento non cessa ipso facto con il raggiungimento della maggiore età.
L’obbligo di mantenimento può tuttavia venir meno anche nel caso in cui il figlio maggiorenne sia stato posto nella concreta posizione di poter essere autosufficiente (c.d. principio di auto-responsabilità), ma non ne abbia colpevolmente tratto profitto.
Quindi il limite al diritto al mantenimento per il figlio viene individuato nell’inizio dell’ attività lavorativa, a dimostrazione del raggiungimento di una adeguata capacità reddituale, con la conseguenza – però – che l’eventuale successiva perdita dell’occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento (da ultimo Corte appello – Perugia, 10/09/2020, n. 398).
Può ad esempio considerarsi economicamente autonomo il figlio che sia iscritto all’università ma lavori altresì part-time, abbia terminato gli studi ed iniziato a svolgere la libera professione, dopo aver superato l’esame di abilitazione ed essersi iscrizione allo specifico albo, che lavori presso strutture alberghiere con contratti stagionali ed a tempo determinato, o che svolga una regolare attività lavorativa, sia pure con contratti a termine e guadagni contenuti.
La condotta colpevole del figlio maggiorenne può configurarsi in molti modi, e va valutata caso per caso; la giurisprudenza, a titolo di esempio, ha escluso il suo diritto al mantenimento qualora mantenga uno stile di vita sregolato, o insista in una inconcludente ricerca di lavoro protratta all’infinito e senza presa di coscienza sulle proprie reali competenze, frequenti l’università senza profitto (specifico il caso di chi dopo 10 anni, non abbia ancora conseguito la laurea triennale, ed abbia rifiutato una offerta di lavoro compatibile con la prosecuzione degli studi) ovvero continui – nonostante lo stato di disoccupazione – a rifiutare occasioni di lavoro.
L’onere di provare, anche presuntivamente il raggiungimento dell’indipendenza economica o il suo COLPEVOLE mancato raggiungimento è a carico del genitore obbligato al mantenimento (Cassazione civile sez. VI – 09/10/2020, n. 21752; Cassazione civile sez. VI – 20/12/2017, n. 30540; Cassazione civile sez. I – 26/05/2017, n. 13354; Cassazione civile sez. I – 22/06/2016, n. 12952)
Il genitore infatti ai fini dell’accertamento della insussistenza del diritto del figlio maggiorenne a percepire l’assegno contributivo deve a provare che il figlio sia divenuto autosufficiente economicamente, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività produttiva di reddito sia imputabile ad un suo comportamento negligente in quanto, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita.
A sua volta, spetta al figlio maggiorenne che richieda il mantenimento, dimostrare non solo la mancanza di indipendenza economica ma che, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, si sia adoperato effettivamente per rendersi autonomo, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa “gradita”.
Centrale resta comunque il rilievo dell’età del figlio, tanto che l’obbligo di mantenimento deve ritenersi estinto con il raggiungimento di un’età nella quale il percorso formativo, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società (Tribunale sez. I – Taranto, 07/07/2016, n. 22578).
Ed infatti, se il figlio ha raggiunto un’età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società, la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale, in mancanza di ragioni individuali specifiche, costituisce un indicatore forte d’inerzia colpevole
Merita infine ricordare alcune circostanze individuali specifiche che possono giustificare il diritto al mantenimento nonostante quanto sopra evidenziato:
- la condizione di una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali, pur non sfociate nei presupposti di una misura tipica di protezione degli incapaci;
- la prosecuzione di studi ultra liceali con diligenza, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini, che sia ancora legittimamente in corso di svolgimento, in quanto vi si dimostrino effettivo impegno ed adeguati risultati, mediante la tempestività e l’adeguatezza dei voti conseguiti negli esami del corso intrapreso;
- l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, lasso in cui questi si sia razionalmente ed attivamente adoperato nella ricerca di un lavoro;
- la mancanza di un qualsiasi lavoro, pur dopo l’effettuazione di tutti i possibili tentativi di ricerca dello stesso, sia o no confacente alla propria specifica preparazione professionale.
Ne consegue a chiusura di questo breve quadro espositivo che l’art 337 septies del Codice Civile porta con sé la piena legittimazione dell’intervento del figlio maggiorenne nel processo di separazione e di divorzio ed infatti la giurisprudenza (prima di merito e poi di legittimità) ha ritenuto ammissibile l’intervento del figlio maggiorenne nella causa di separazione dei propri genitori (Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2012, n. 4296).
La questione della legittimazione del figlio maggiorenne (cui la legge garantisce la titolarità del diritto al mantenimento) ad intervenire nel giudizio di separazione e di divorzio dei propri genitori è intimamente connessa a quella della riconosciuta legittimazione iure proprio del genitore a richiedere anche egli stesso il contributo di mantenimento per il figlio convivente ed era perciò inevitabile che dal riconoscimento della coesistenza dei due diritti si arrivasse a prevederne anche processualmente la medesima contestuale possibile tutela.
Da ultimo sul tema preme segnalare la recente ordinanza della Suprema Corte 13 aprile 2021 n. 9700 in cui ha confermato la propria posizione secondo cui il creditore della prestazione, così come indicato dal provvedimento di separazione, non può essere modificato dalle parti: “il pagamento dell’assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne, invece che al genitore convivente, non è una facoltà dell’obbligato, ma può essere solo il frutto di una decisione giudiziaria”.
Ciò significa che senza un provvedimento del giudice il genitore obbligato al pagamento non può decidere di versarlo direttamente al figlio maggiorenne anche se vi è accordo con l’altro genitore.
Però su questo punto – fonte di conflitto fra i genitori – la Corte ha comunque fornito una soluzione alternativa al ricorso al Giudice per modificare il destinatario del pagamento del contributo al mantenimento, laddove osserva che: “il coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento del figlio potrebbe, in teoria, indicare quest’ultimo quale adiectus solutionis causa, ai sensi dell’art. 1188 c.c.: ma, da un lato, altro è l’indicazione di pagamento (la quale non muta la persona del creditore), ben altra cosa invece è la sostituzione del creditore fissato dal titolo giudiziale con altro creditore”.
In concreto il genitore beneficiario dell’assegno può indicare – in accordo con l’altro genitore – SOLO quale destinatario del pagamento – il figlio maggiorenne chiedendo che le somme vengano a lui direttamente versate, ma rimanendo il genitore collocatario unico ed esclusivo titolare del diritto alla corresponsione in assenza di un provvedimento giudiziale ad hoc.